Le olive “ammaccate” di Cleto

A Cleto, curioso borgo in provincia di Cosenza a pochi chilometri della costa tirrenica, ancora oggi si preparano le così dette “olive ammaccate” secondo un’antica ricetta dalla lavorazione scrupolosa e dagli ingredienti molto particolari che conferiscono a queste olive un sapore unico ed inimitabile.

Le olive verdi vengono raccolte e selezionate una ad una, lavate con acqua abbondante e depositate in una cesta e messe ad asciugare. Successivamente verranno ammaccate in modo tale che si aprano ma il nocciolino non si rompa. Per questa operazione è necessario un ausilio di un una pietra liscia e tondeggiante della grandezza di una mano.

La pietra secondo l’antica tradizione si reperiva in spiaggia o nel fiume e riveste un ruolo particolare in primis perché essendo liscia garantirà al frutto una lesione tale da non spappolare la polpa e non rompere o lesionare il nocciolo ed al contempo la pietra stessa non si scalfiggerà in quanto bisogna ricordare che i noccioli delle olive sono estremamente duri.

Questo passaggio riveste un ruolo chiave nella preparazione delle olive verdi ammaccate in quanto il processo di ammaccatura tradizionale darà al prodotto quella forma non omogenea che successivamente conferirà un diverso sapore tra le olive in quanto gli aromi si andranno ad annidare all’interno delle olive stesse in maniera differente .

Una volta completata la fase di schiacciatura si procede alla snocciolatura.

Per molto tempo ed ancora oggi la preparazione della olive rappresenta un momento di unione e condivisione familiare, basti pensare al fatto che per  portare a termine un piccolo barattolo di prodotto occorre un duro lavoro manuale pertanto necessita di una grande manovalanza .

Man mano che si snocciolano vengono poste in un grande recipiente con acqua al fine di addolcirle e conservare quel caratteristico colore verde, le olive devono stare completamente immerse nell’ acqua con peso ed inoltre l’acqua dovrà essere cambiata ogni giorno.

Dopo 4/5 giorni di ammollo le olive diventano “dolci” e si  procede a questo punto ad eliminare l’acqua con l’aiuto di un piccolo torchietto.

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Una volta eliminata l’acqua saranno pronte per essere aromatizzate.

Le olive come da tradizione vengono messe nella “limba”, recipiente di terracotta dalla caratteristica laccatura smaltata, e condite con olio novello, fettine di aglio, peperoncino, semi di finocchio selvatico, sale quanto basta e mescolate con le mani.

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Completata questa operazione verranno messe  in vasetti di vetro comprimendole con l’ausilio di un pestello di legno per eliminare l’aria ed al contempo compattarle .

Prima di chiuderli ermeticamente aspettare qualche minuto per il trabocco di  olio e  infine  aggiungere una coroncina di finocchio che farà da contrasto  tra il prodotto ed il tappo così le olive saranno completamente sott’olio e conserveranno quel bellissimo colore verde e quella fragranza dettata della presenza di quel rametto di finocchio.

Tra i rituali e sapori che sono sopravvissuti al processo di abbandono della cultura popolare resistono ancora in parte quelli legati alla cultura alimentare e al patrimonio gastronomico.

Questa descrizione ha come obiettivo di raccontare  quello che per anni ha caratterizzato l’alimentazione di  tante generazioni così come la storia e la cultura di un luogo .

Se mai qualcuno decidesse di donarvi un barattolo di olive considerate questo gesto come un vero segno di amicizia e di stima.

Condividere il cibo viene riconosciuto come uno dei modi fondamentali con cui stabilire e mantenere rapporti umani. Il termine “compagno” deriva dal latino cum-pani ovvero “dividere il pane con”. Quindi il cibo è sempre più sinonimo di amicizia, è piacere di stare in armonia con gli altri condividendo qualcosa di se stessi.

Portatrice di una cultura conviviale è senz’altro la civiltà contadina che per anni ha diviso e scambiato il cibo tra  lavoratori all’ora di pranzo.

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“Quando il cibo non è soltanto nutrimento, ma rappresenta qualcosa di più – cultura, amicizia, comunione, arte e amore – allora cucinare per l’ospite, il familiare o l’amico, scegliere per lui gli ingredienti e disporli con cura, diventa un modo, pieno e fecondo, per dirgli: «Ti voglio bene» (cit. Enzo Bianchi)”.

A cura di Franco Roppo Valente

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